source: flickr
“C’è grossa crisi…” diceva così il profeta di “Quelo” in una fortunata parodia creata da Corrado Guzzanti, parodia dei profeti di sventura, pseudo santoni in grado di dare risposte (spesso scontate) a chi è nel panico più totale.
Ed il panico mi pare stia prendendo anche una parte del nostro amato settore nonprofit…
“Crisi delle donazioni”, “Terzo settore: è allarme donazioni” e chi più ne ha più ne metta, sono solo alcuni titoli apparsi sui giornali negli ultimi mesi. Se n’è parlato anche on-line, per fortuna, con toni molto meno allarmistici e molto più ponderati… lo hanno fatto Francesco Quistelli, per primo, qui, Ioana Fumagalli su Fundraisers’ diary e Valerio Melandri qui.
Pur condividendo lo spirito di questi tre ultimi post citati, ho sentito comunque il bisogno di dire la mia, stimolato anche da numerose richieste di commenti sul tema (l’ultima in ordine di arrivo sarà la partecipazione, venerdì prossimo, al dibattito “Vendere le donazioni: un paradosso? Nuove strategie per nuove sfide” durante “Fa la cosa giusta” con Giorgio Fiorentini a Milano).
La crisi c’è la crisi non c’è, partirei dal presupposto che per esserci c’è ma che, come quasi tutte le crisi, fa distinzioni, ovvero non colpisce e non lo fa nello nello stesso modo, tutte le organizzazioni.
Primo punto: le crisi, oltre a fare danni, fanno anche selezione ovvero i player che meglio sanno muoversi o che meglio hanno saputo farlo nel passato vengono “premiati” a scapito di chi non è stato in grado di fare questo.
Un esempio su tutti, …… le organizzazioni che hanno puntato negli scorsi anni sulla trasparenza e lo hanno fatto magari rinunciando a messaggi “aggressivi” che nel breve avrebbero sicuramente reso di più, nel momento in cui il donatore (che come amo ricordarvi tendenzialmente non dona per un’unica causa ma per almeno 3-4 cause) si trova ad avere meno disponibilità economica ed è costretto ad una scelta, probabilmente premierà chi lo ha sempre informato su come i suoi soldi venivano spesi, in un’ottica di massimizzazione dell’investimento (dono meno ma quello che dono voglio che frutti il più possibile).
E questo credo sia un primo dato importante, poi viene il secondo punto “la crisi come opportunità”.
Non lo invento certo io, personaggi decisamente più illustri, anche recentemente (leggi alla voce Presidenza degli Stati Uniti d’America), lo hanno ricordato, le crisi sono il momento in cui si è obbligati a fare di più e meglio. Questo significa che chi per troppi anni ha “vivacchiato” o scegli la strada del rinnovamento e “dell’attacco” oppure giocando sulla difensiva rischia seriamente di sparire.
Tradotto in fundraising/comunicazione vuol dire che in un momento in cui il pubblico non eroga molto (un esempio su tutti il Ministero Affari Esteri), impegnato a far fronte ai problemi finanziari della Nazione, è indispensabile “aggredire” il mercato privato, non certo messo bene, ma nemmeno in condizioni così disastrose da poter essere lasciato perdere perchè troppo complesso.
Quindi un altro dato: Il funding mix differenziato aiuta a superare le crisi, e chi ne possiede già uno sufficientemente variegato ovviamente ha un vantaggio competitivo aumentato ulteriormente dal momento di difficoltà economica del Paese.
E ancora: “quali strumenti di raccolta fondi per superare la crisi?”.
Già dalla fine dello scorso anno questa domanda mi è stata posta da giornalisti e colleghi e come allora la mia risposta è: non esiste uno strumento “scaccia crisi”.
Così come non esiste uno strumento “spacca mercato”, (vi ricordate la bacchetta magica citata qualche tempo fa?), nessuna “nuova tecnologia” può permettere ad un’organizzazione di andare oltre questo momento senza fatica, con un semplice tocco e una formula magica.
Si parla moltissimo dell’on-line che come sapete è una delle mie passioni, ma l’on-line non è LA risposta, ci sono 100.000 motivi per cui non lo è ma il più importante è che questo, come tutti gli altri strumenti, va capito, studiato, sperimentato e solo dopo molti anni di lavoro può diventare un canale redditizio (un esempio, positivo, su tutti, in questo senso, è la Terre des Hommes dell’amico Paolo Ferrara).
Lo scrivevo prima, la crisi necessita che si faccia di più e meglio ma i principi base del “fai quello che conosci” e “testa, testa, testa” restano fissi e anzi sono ancora più solidi proprio per il momento contingente.
Altri hanno indicato nella gestione e nella fidelizzazione dei sostenitori la principale risposta al momento (lo ha fatto molto bene Francesco Quistelli nell’articolo citato ad inizio post e lo fa l’Istituto della Donazione), non è che non sia d’accordo è solo che, a mio giudizio, la fidelizzazione è un must imprescindibile in qualunque momento non solo in quelli di crisi e temo che (ovviamente non mi riferisco all’amico di Coopi che so lavorare alacremente anche in altre direzioni) se ci si focalizza solo su quella (in fondo più sicura e cost effective nel breve) si rischia di perdere di vista le opportunità che, come già detto, la crisi porta con se in termini di espansione del proprio bacino di donatari.
Un ultimo punto che evidenzierei per meglio sottolineare, a mio giudizio, l’opportunità che la crisi porta con se è che in molti avranno paura, alcuni big player diminuiranno gli investimenti ed alcuni lo faranno in maniera cospicua.
Questo significa più spazio per chi saprà “rischiare” aggredendo quegli spazi e quelle fette di mercato meno coperte da chi ne ha detenuto il “monopolio” in passato. Restano immobili, almeno per me, i concetti sovraespressi (fai quello che conosci – testa) ma anche questo dato non può essere ignorato da chi punta alla crescita della propria organizzazione.
Se si vuole superare questo momento l’unica ricetta semplice è fatta di tre cose: Lavoro, lavoro, lavoro… non c’è molto altro…
Riccardo Illy qualche settimana fa ha risposto alla domanda sulla sua azienda “voi che avete puntato sempre sull’eccellenza pensate che questa sia sufficiente per superare questo momento?” dicendo “probabilmente no, direi che ci vuole la perfezione e noi lavoriamo per quella”.
Io ho intenzione di lavorare ancora più duramente verso quella “perfezione” e voi?
l’amico di COOPI all’amico di CESVI: porca miseria concordo su tutto e non ho nulla da aggiungere, se non scrivere che non ho nulla da aggiungere. Ci vediamo al prossimo fundraising bar!
Francesco
Ps: a gennaio abbiamo avuto un incremento importante delle donazioni “non vincolate” rispetto a gennaio 2008, lo dico non per vanto ma per infondere un po’ di fiducia a tutti noi: è davvero fondamentale! Se i donatori degli altri “tengono” è probabile che tengano anche i miei o che, alla ripresa, siano pronti a donare nuovamente (e di più) anche per altre onp…quindi anche la mia…non mollate!
Grazie Fra, per il “concordaggio” e per l’iniezione di fiducia che dai a tutti i lettori/fundraiser del blog… in realtà anche i miei dati di gennaio sono molto, molto incoraggianti e sono certo che non siamo gli unici! 🙂 Forza!
Personalmente, vivendo la mia esperienza in parte dall’altro lato (da un lato) della medaglia (cioè del grantmaking) spero che questa crisi possa portare anche ad una maggiore cooperazione tra onp (e parlo non di ong che non è il “mio settore” ma parlo di cooperative sociali, associazioni di volontariato anche di piccole e piccolissime dimensioni), anche se per ora mi pare di vedere (parlo sempre per me) una dimensione del tipo “casa delle libertà” (riferendomi ovviamente alla medesima trasmissione da cui Daniele a tratto Quelo), non so se vi ricordate il ritornello “casa delle libertà…facciamo un po’ come c…o ci pare”. Nel senso, la barca affonda si salvi chi può in disordine
Ciao Francesco, magari la crisi avrà un effetto “migliorativo” anche su questo aspetto… le piccole realtà che non impareranno a collaborare, visti i tempi non semplici, verranno “rimpiazzate” da quelle che sono in grado di farlo… e diciamo che, considerato tutto, se delle 300.000 associazioni presenti le “peggiori” dovessero scomparire dubito che il Paese ne subirebbe un grave danno… so di essere caustico ma come detto la crisi potrebbe essere davvero un opportunità di selezione naturale in un panorama che ha sì molte punte di eccellenza ma anche tanto, tanto, tanto “male”.
Piccola riflessione dopo aver letto l’articolo sull’Espresso “Qui non si fa più beneficenza”… qualcuno potrebbe spiegare agli amici della stampa che “Qui”, in Italia, di beneficenza non se n’è mai fatta?!?!?!
Se paragoniamo la percentuale di donatori nel nostro Paese con quella del Canada per esempio (che per la cronaca ha un Welfare State coi controfiocchi) scopriamo che se qui, quando va bene, poco più della metà dei cittadini dona (considerati gli SMS ovviamente) lì la percentuale è vicina al 90%… quindi per piacere smettiamola di fomentare questo mito degli italiani popolo di donatori… i donatori ci sono per carità e meno male ma se proprio è necessaria una generalizzazione punterei sul fatto che si dona ancora troppo, troppo poco… per cultura, ragioni storiche, immaturità del mercato e mille altri motivi… noi lavoriamo per invertire questa tendenza, ci mancherebbe, ma ogni tanto, un minimo di approfondimento, anche da parte degli enti che commissionano ricerche oltre che da parte dei giornalisti, e di confronto con l’estero non farebbe male.
Ciao Daniele, leggevo il post e i vari commenti e condivido in pieno tutte le riflessioni fatte.
Ho un dubbio però circa l’affermazione che la crisi provveda ad avviare una selezione naturale, mi sembra personalmente una frase molto forte…nel senso che mi è difficile immaginare che solo le realtà migliori saranno in grado di sopravvivere o che le peggiori tenderanno a scomparire.
Anche prendendo in considerazione il fatto che non sempre “peggiore” sta ad indicare un’accezione negativa soprattutto se inserita nel contesto economico.
La sopravvivenza dipenderà in tal senso soprattutto dal grado di aziendalizzazione e risore economiche ed umane che ciascuno saprà mettere in campo.
Per questo ritengo che la capacità aziendale, se applicata al non profit, non corrisponda esattamente a eccellenza sociale.
Di certo la “scrematura” sarà inevitabile e sicuramente (o probabilmente) darà vita a innovazione e unione ma non premierà, secondo me, solo le non profit più meritevoli.
Ciao Genz, bentornato, purtroppo sul fatto che alcune “buone” realtà rischino di scomparire non posso che concordare… ovviamente con “buone” intendo in grado di portare avanti in maniera efficace la propria mission… perdona la semplificazione del mio post sul fatto che solo le meritevoli saranno premiate ma il mio intento era quello di spronare a considerare anche gli aspetti “positivi” della crisi… di prenderla davvero come uno stimolo a fare di più e meglio… di non fermarsi insomma di fronte alle evidenti difficoltà che la crisi porta con se ma di fare un passo oltre…
Per quanto riguarda le affermazioni “forti” mi segui da un pò e quindi sai che sono il mio “marchio di fabbrica”… preferisco sempre essere poco “limato” per spingere alla riflessione il lettore anche a costo di sembrare rozzo o polemico 😉
Caro Quistelli,
comprendo il tuo intento di incoraggiare le altre associazioni e gli altri fundraiser, ma la tua testimonianza su Coopi non puo’ essere presa d’esempio.
L’incremento delle donazioni a Coopi a gennaio 2009 rispetto a gennaio 2008 e’ dovuto al fatto che l’Organizzazione a fine 2008 ha investito maggiormente nelle attivita’ di raccolta fondi rispetto a quanto avesse fatto nel 2007.
Questo sta solo a dismostrare che chi investe nelle attivita’ di FR, raccoglie.
Comunque la crisi delle donazioni non si e’ ancora veramente sentita tra dicembre 2008 e gennaio 2009, soprattutto tra quelle provenienti dai donatori privati.
Una reale valutazione degli effetti della crisi la si potra’ fare a fine 2009.
Concordo con Daniele che le “pillole” su come battere la crisi, tra cui quella di puntare sulla fidelizzazione, valgano per qualsiasi periodo….e concordo sul fatto che l’unica cosa da fare sia quella di lavorare sodo e, aggiungo, bene.
La crisi produrra’ sicuramente una scrematura, ma anch’io temo, come ha ben detto Genz, che non premierà solo le non-profit più meritevoli.
Ciao Claudia,
come hai visto per discrezione non avevo citato esplicitamente COOPI (www.coopi.org)… Però ti ringrazio per aver palesato il successo che stiamo ottenendo dai donatori privati! Abbiamo chiuso il 2008 in forte crescita e da domenica 15 marzo saremo in onda sulla Fabbrica del Sorriso. Del resto come dici tu “chi investe, e lo fa bene, raccoglie!”. Sono certo che farà piacere anche a te visto che hai lavorato in COOPI per un po’. A presto, ciao Francesco
Cari amici, e qui ce ne sono davvero tanti, l’assenza dalla rete di queste ultime settimane mi stava facendo perdere uno dei pezzi più interessanti sul tema della crisi di questi mesi. Che dire? Solo che concordo, concordo, concordo con quello che dice Daniele sia nel suo intervento che nella lunga serie di commenti: non esistono ricette o bacchette magiche, il funding mix paga, le organizzazioni più attrezzate in termini di fundraising (non sempre quelle con le cause o la qualità maggiore) alla fine potranno consolidare la loro posizione, come ricordiamo spesso nei nostri corsi oltre che su questi blog, questo paese non solo non ha un sistema di welfare moderno, ma non ha neanche una cultura della donazione e non ci sono alibi, bisogna saper rischiare ma anche fare meglio le cose che già sappiamo fare ecc. ecc.
Aggiungo solo che sarà sempre più importante creare relazioni significative con i nostri stakeholder, mobilitare i board, attivare o riattivare i volontari in grado di creare relazioni, ecc. In tempi di crisi, soprattutto di crisi come questa dove la moneta più scarsa è la fiducia, chi ha fiducia da spendere è sempre favorito.
Ultimo punto sul quale so di essere impopolare in un paese come l’Italia. Io mi auguro seriamente che questa crisi faccia pulizia. L’affollamento delle associazioni (non delle cause) è un brutto male del nostro sistema: non solo disperde risorse e professionalità importanti, ma crea un rumore di fondo che rende impossibile dipanare la matassa tra chi vale e chi non vale, tra chi è trasparente e chi ci marcia. Tutto questo crea sfiducia, un handicap tanto più pesante per il sistema in un momento come questo. Ovviamente mi auguro che non scompaiono quelle piccole organizzazioni che rappresentano cause poco o male rappresentate!
Un caro saluto a tutti e complimenti a Daniele e Francesco per il bel lavoro che stanno facendo nelle loro organizzazioni!
Ciao Daniele,
sono Emma, parteciperò al Festival del Fundraising in maggio con Postel (sponsor dell’evento). Abbiamo aperto una sorta di “countdown blog” in attesa della fatidica data di maggio. In attesa di incontrarti di persona, mi piacerebbe che venissi a “trovarci” anche virtualmente, vista la tua notevole esperienza sulle iniziative web e… non solo. Ti leggerei davvero volentieri.
Una piccola anticipazione: settimana prossima vorremmo lanciare un piccolo “concorso” in vista del Festival: ci piacerebbe che ognuno raccontasse la sua (piccola o grande) esperienza nell’online in poche parole, come se scrivesse un post. Valuteremo professionalmente le case histories e proporremo spunti per rendere se possibile ancora più efficaci i risultati nel mondo dell’online e presenteremo al Festival la case history migliore durante il nostro intervento.
Caro Quistelli,
mi fa piacere che Coopi sia entrata tra le 4 prime associazioni beenficiarie della Fabbrica del Sorriso. Quello e’ il risultato del lavoro di semina che per vari anni ha portato avanti Francesca Mangano con Mediafriends. Beh direi che i professionisti di Professionetica ti hanno lasciato una buona eredita’ a Coopi.
Ciao
Claudia
Ciao Emma, ho visitato il vostro blog e vi faccio un sincero in bocca al lupo per la vostra iniziativa… mi fa piacere che anche postel si stia affacciando al fundraising 2.0… verrò sicuramente ad ascoltare la vostra sessione al festival per capire quali soluzioni innovative avete in mente di proporre.
in ritardo; ma mi permetto di intervenire anche io.
e lo facco trovandomi pienamente concorde con Daniele e Paolo.
anche nel non profit è evidente quello che forse è uno dei mali peggiori dell’Italia: la frammentazione.
nella politica, nell’economia e nelle associazioni.
Faccio un esempio.
ultimamente mi sto riappassionando alla bici, e perciò mi sono fatto un giro tra i siti della associazioni a tema nella mia città (torino);
ho scoperto che 3-4 associazioni presenti sono nate da una fuga di “dissidenti” dalla associaziona meggiore.
Fare un po’di “scrematura” (anche se purtroppo in maniera brutale) potrebbe essere un inzio di miglioramento, e portare anche ad una maggiore incisività delle associazioni rimaste.
un saluto a tutti!
Mi collego a quanto sostiene Paolo riguarda al numero eccessivo di onp che operano per le stesse cause. Io credo che le onp siano tante anche perchè in Italia manca sinceramente una cultura della rendicontazione. Guardate per favore un sito di cui tutti abbiamo già parlato http://www.charitynavigator.org/. Guardate la top ten lists. Non dico di arrivare fino a lì ma qualche dato simile in Italia non è possibile averlo?
Ma siccome nessuno fa il primo passo mi sa che è dura che ci si arriverà, i donatori inoltre sono sensibili all’argomento solo quando c’è qualche nuovo scandalo di qualche onp portate alla ribalta dai mass-media. Sono abbastanza sfiduciato e credo che le onp in Italia possono prosperare proprio perchè il livello di attenzione dei mass-media e dei donatori si riveli alto solamente quando arriva il “solito scandalo”.
Ciao Daniele,
torno a visitarti dopo un lungo silenzio (lavoro troppo!) per lanciare, come mio solito, una provocazione.
Vista la crisi e il calo delle donazioni…
La scorsa settimana due charities inglesi che operano nello stesso ambito hanno avviato la procedura di fusione che terminerà passando da due enti distinti medio-piccoli a uno solo molto grande. Sono Age Concern England and Help the Aged. Questo percorso non certo indolore (sembra che 300 persone perderanno ahimè il posto di lavoro) salverà comunque i due enti dalla chiusura, creando un soggetto con ben 2.750 dipendenti e migliaia di progetti.
In UK ci sono 168.000 charities contro le oltre 260.000 in Italia e hanno raccolte fondi dai privati che noi possiamo sognare.
Quando vedremo anche in Italia scelte così coraggiose? Quando Presidenti meno attaccati alla loro “poltrona e al titolo” spesso nanesco vi rinunceranno per fondersi e creare un unico ente di respiro più ampio?
Anche così si affronta a mio avviso la crisi, non credi, riordinando il settore, semplificando le sigle….
Cara Tiziana,
sono contento che questa volta ci troviamo d’accordo: se è vero che mi auguro che qualche associazione scompaia (qualcuna che non doveva probabilmente neanche nascere, perché ridondante rispetto a una causa), credo anche io che per molte organizzazioni sia arrivato il momento di andare verso la fusione, con scelte sicuramente dolorose ma essenziali se vogliamo continuare a sostenere che al primo posto dei nostri pensieri ci sono i beneficiari e non le organizzazioni stesse.
un caro saluto