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fonte: flickr

Qualche settimana fa avevo scritto a proposito di una interessante opportunità di lavoro nel nostro settore. Si trattava della ricerca da parte di Action Aid Italia del nuovo direttore raccolta fondi, la persona che avrebbe dovuto sostituire la bravissima Roberta Capella.
Il post è stato molto commentato e polemica a parte, scatenata dalla vulcanica Tiziana, uno dei temi che aveva suscitato maggiore attenzione era quello dell’età (ipotizzata alta) che il nuovo responsabile avrebbe avuto. Beh chi ha pensato questo si sbagliava e non poco.

Action Aid ha scelto e ha scelto un giovane vero!
Non un giovane come si dice nel nostro Paese… (altro…)

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Il mondo del marketing profit, ed ovviamente anche quello nonprofit, si trovano sempre di più a dover fare i conti con nuove piattaforme, soprattutto on-line (facebook, linkedin, second life e i metaversi, ecc.).
L’utilizzo che di queste risorse si può fare presuppone una scelta di fondo: esserci o essere rilevanti.
Parte da questa riflessione uno degli ultimi post di donor power blog e analizza alcune strategie di industrie profit e nonprofit.
Le strategie in questione non differirebbero da quelle applicate ai media tradizionali prevedendo una presenza (tramite banner pubblicitari di vari formati) all’interno di questi spazi.

Secondo Jeff Brooks in questo modo le aziende andrebbero a perdere quello che è il valore reale di queste piattaforme, il social networking.
Ponendosi come “sfondo” alle reti di utenti, infatti, gli inserizionisti non diventerebbero parte di quel mondo ma un contorno, se non fastidioso sicuramente non protagonista e quindi poco efficace.
L’atteggiamento potrebbe essere diverso? Per quanto riguarda il profit sinceramente non lo so, anche se propenderei assolutamente per un sì, ma per il nonprofit (sia comunicazione che raccolta fondi) sono certo che possa e debba essere diverso (e non solo perchè non ci possiamo permettere l’acquisto di qualunque superfice disponibile per i nostri messaggi).

Ciò che è realmente efficace in questi mondi (come di fatto nel mondo reale) è essere parte delle conversazioni, condividere le informazioni (aah la condivisione!), essere appunto “rilevanti”. Insomma per citare ancora Brooks, così come il profit dovrebbe smettere di “gridare” quanto eccezionali siano i suoi prodotti così dovrebbe fare il nonprofit.
Ovviamente questo comporta tempo, ma non è detto che sia solo il tempo del singolo fundraiser (come sarebbe per l’organizzazione di una campagna). A raccontare l’organizzazione i volontari sono bravissimi e ancora meglio gli operatori, e che dire di donatori e attivisti?.

Stimolando quindi una parte dei propri stakeholder all’utilizzo delle piattaforme citate (ma anche delle n. mila meno diffuse) anche i tempi, notoriamente lunghi del social networking, potrebbero essere “divisi” e si potrebbe ottenere quella “presenza positiva” che tanto bene può fare alle nostre cause sia in termini di diffusione che in termini di fundraising.

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