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Molto spesso scriviamo e parliamo di come il modello di competizione positiva possa portare nel nonprofit benefici agli attori. Ancora più spesso (nell’ultimo anno lo si è fatto forse ancora di più) ci diciamo di quanto sia importante osservare “quelli bravi”, solitamente riferendoci alle grandi organizzazioni estere, ed imparare da loro.
Forse è arrivato il momento di ammettere che “quelli bravi” magari ci sono anche qui in Italia, anzi senza alcun “forse” ci sono, e da loro tutti dovremmo imparare almeno un paio di cose.
Visto il logo che campeggia ad inizio post… …è piuttosto chiaro che sto parlando di Save the Children Italia (STC nel resto del post).
Se fino a pochi anni fa STC nel nostro Paese era, nonostante il nome e la diffusione internazionale, poco più che un “illustre sconosciuto” negli ultimi 5 anni è balzata prepotentemente nell’olimpo del fundraising italiano.
Se si vanno a scorrere i bilanci dell’organizzazione dal 2001 al 2007 (ultimo disponibile) saltano immediatamente all’occhio i tassi impressionanti di crescita nella raccolta da privati.
Si parte dai quasi 3 milioni di euro del 2001 (nel 2000 era 1 milione) agli oltre 15 milioni del 2007, in sette anni una crescita di 15 volte… quanti di noi possono dire lo stesso? Quanti metterebbero la firma per un terzo di quella crescita? Ma soprattutto quanti si chiedono quale magia hanno messo in campo?
Come ho già detto più volte non credo nelle magie nel nostro campo, credo invece in cose molto meno divertenti, più difficili, più noiose, più concrete. Credo nell’organizzazione, nell’investimento, nel considerare una nonprofit alla stregua di una azienda (con l’unica differenza della distribuzione degli utili) e credo soprattutto nella strategia.
Da quello che possiamo vedere dall’esterno (ahimè non ho insider in STC in grado di passarmi informazioni sottobanco 😉 ) STC non ha trovato una bacchetta magica, tradotto, un’operazione, un’idea talmente geniale da farli svoltare. Non mi risulta che si siano inventati un nuovo canale di raccolta fondi, uno strumento innovativo, ecc… mi sembra che abbiano solo “scelto” di lavorare in maniera ultra-organizzata, pianificando per anni e investendo sulle risorse umane… hanno insomma scelto di essere una azienda (nell’accezione più positiva che di questo termine si possa dare).
Investire sulle risorse umane, primo punto che imputo al successo di STC Italia, per quanto riguarda il fundraising hanno messo insieme un vero e proprio “dream team”.
Professioniste (perdonate il femminile ma sarebbe davvero sciovinista usare il maschile quando sono praticamente tutte donne 😉 ) esperte, motivate e decisamente in gamba, ognuna nel proprio ambito di competenza, puntando anche sulle giovani leve (se non erro la responsabile FR ha circa 34 anni un record in Italia!).
Strategia e pianificazione, il secondo punto a mio giudizio che ha “fatto la differenza”.
Quando STC si muove lo fa in maniera coordinata e compatta. Pensiamo alla campagna “Riscriviamo il futuro“: Comunicazione + Fundraising su tutti i target + ufficio stampa (su questo sarebbe da scrivere un post dedicato per la capacità di presenza sui media che STC ha) = Campagna di straordinario successo sia in termini di raccolta che in termini di visibilità.
Per fare questo è inutile dirlo ci vuole una pianificazione preliminare pluriennale molto attenta ed accurata, ci vuole una visione di medio-lungo periodo e bisogna far sì che questa visione sia condivisa fra tutti i membri dello staff. Impossibile? Se penso a moltissime organizzazioni la risposta automatica sarebbe un sì, ma evidentemente se STC lo ha fatto non è fantascienza…
Ho parlato tante volte con amici e colleghi di questo successo e se da una larga parte (soprattutto “nuove leve”) è evidente il tentativo di comprenderne le ragioni e di trarne spunti, da un’altra parte (quella dei “grandi vecchi”) ho spesso visto un atteggiamento differente.
Un atteggiamento volto non ha capire ma a sminuire ciò che è stato fatto da STC o a giustificarlo con interventi “alieni”. Più di una volta parlando con queste persone è venuto fuori il fatto che il successo sia imputabile ad un “aiuto finanziario” da parte della famiglia STC (ovviamente basta leggersi i bilanci per capire che questo non è avvenuto, non in maniera rilevante cmq) o ancora sull’incredibile forza del brand (e anche qui verrebbe da chiedersi come mai allora prima del 2003-2004 questo brand miracoloso non producesse questi risultati).
E’ naturale che per una parte del vecchio nonprofit STC sia la dimostrazione che quanto da loro sostenuto (le onp non sono aziende, hanno altre logiche, ecc.) sia sbagliato. Ed è altrettanto evidente che costi meno fatica andare avanti così piuttosto che rivedere il proprio pensiero, rimboccarsi le maniche, investire e fare un fresh start… ma in tutta sincerità credo che non si possa fare diversamente.
Chiaccherando con una collega sull’argomento abbiamo valutato come in fondo molte delle ong che operano in italia siano “ghiande” che hanno in potenza la “quercia” (rappresentata qui da STC). Naturalmente se l’andazzo continuasse così molte, quasi tutte, resterebbero nello stato di “potenza” e non avrebbero mai rami e foglie ma forse qualcuna, se aprisse gli occhi e cominciasse a darsi una mossa da subito, potrebbe aspirare a crescite pari, se non superiori a quelle di STC, che tradotto poi significherebbe progetti migliori sul campo e aumento del numero dei beneficiari… e in fondo il nostro scopo è sempre quello…
Concludo quindi con i complimenti a STC per il lavoro fatto e per quello che sono certo faranno (il primo che mi accusa di piaggeria gli inibisco i commenti per sempre 😉 ) e rinnovando l’esortazione al settore a non guardare solo a cosa succede all’estero, cose buone se ne fanno anche qui da noi… solo si fa un pò più fatica a mettere da parte l’invidia e capire le ragioni del successo!
Bentornati a tutti dalle vacanze e a presto!
Il mio è uno sguardo esterno, non ho una conoscenza diretta di stc, sebbene siano clienti dell’agenzia per cui lavoro e del “dream team” ho conosciuto solo una persona (molto simpatica, e a mio avviso molto appassionata del proprio lavoro e che ci tiene proprio a fare il meglio).
Mi relaziono con chi si occupa di F2F e adorano soprattutto le email, senza stare troppoa perderci tempo. 🙂
devo ammettere che la mia impressione di stc è ottima: da “donna della strada” ho notato che la conoscenza di stc tra le persone si è allargata a macchia d’olio nell’ultimo anno.
La campagna Riscriviamo il Futuro è un successo incredibile!
Concordo in pieno con la tua analisi!
Ciao Antonella,
mi fa piacere che un esperienza “quasi” diretta confermi la mia visione.
Hai toccato un altro punto, a mio giudizio, molto interessante il dialogo diretto di STC. STC non è stata la prima a tentare la via della strada (perdona il gioco di parole) ma lo ha fatto in maniera estremamente logica ovvero non innamorandosi a priori di questo mezzo di FR ma testandolo e poi una volta compreso e misurato il potenziale espandendo l’investimento (credo che le stime sui prossimi anni da questo strumento per loro siano estremamente interessanti).
Quindi anche da questo punto di vista si sono comportati da azienda seria e attenta… e credo che su questa strategia di approccio in molti dovrebbero trarre spunti 😉
ciao daniele,
di f2f se vuoi ne possiamo parlare per ore ed ore o per post e post: sfondi una porta aperta 😉
Non so se ne hai un’esperienza diretta ed operativa, ma come tu giustamente ricordavi, è efficace quando dietro c’è una strategia completa.
Sembra la cosa più semplice: metti dei ragazzi a fare 2 chiacchiere con le persone ed è fatta! ma la realtà dell’area pedonale non è questa.
Sbirciando nel web è evidente che c’è voglia di Dialogatori per tante onp “in house” e tanti profit offrono questo ulteriore servizio.
Non c’è stata una grande concorrenza in italia per anni, ma ora si muovono in tanti. Sarà interessante vedere come si evolverà questo minusculo segmento di fund raising che a mio parere porta tanti frutti anche qualitativamente buoni e a costi contenuti.
E’ tanto tempo che non recluto più sostenitori presso uno stand ma le risposte erano spesso le stesse: “era tanto che volevo farlo, ma sa sul web si è pigri, e poi trovare il tempo per inviare un fax, e poi… e poi meglio parlare con una persona che mi spiega tutto come lei adesso ecc…”
Ci vuole tanta professionalità, non solo per chi ha “l’onere e l’onore” di organizzare e gestire queste compagne, ma anche da parte di ciascun dialogatore. In fondo sono porprio loro il vero link, i veri volti delle organizzazioni, anche se per massimo 20 minuti con potenziale sostenitore.
tutto ciò che è f2f e FR in genere non è vendita, impossibile trattarlo come tale. Quindi credo poco a chi s’improvvisa dalla sera alla mattina venendo magari dalla promozione del prodotto XY di telefonia.
Ma neppure credo a chi pensa che bastino belle parole infilate una dietro l’altra e tanta “Fede nella buona causa”.
E’ una strana alchimia. La mente di un Dialogatore è un universo da esplorare (che dopo diverse gite non nasconde più i propri sentieri)
La mia esperienza è legata ad un sola agenzia, non mi sono mai confrontata con altri che fanno il mio stesso lavoro. Certo mi cade l’occhio sui Dialogatori altrui che soprattutto nelle grandi città abbondano. Ammetto che non sempre quello che vedo anche da lontano mi piace o mi piacerebbe se fossero i miei.
Non so se si è capito che il f2f mi piace… 😉
Anche se la voglia di fare anche altro è tanta.
Buona domenica a te ed eventuali lettori…
Ciao Antonella,
la mia esperienza sul f2f è davvero minima ma ritengo sia un canale molto interessante e sicuramente mi attrezzerò per conoscerlo e comprenderlo al meglio… nel frattempo se lo volessi, potresti scriverne tu su queste pagine raccontando la tua esperienza e mettendo in luce pregi e diffetti del mezzo (che io ricordi il tema non è ancora stato approfondito nei blog sul FR). Questo blog è aperto ai contributi di tutti quindi se ti va mandami una mail (indirizzo nella colonna di dx) e vediamo come procedere 😉
Grazie e a presto!
Eh sì…si parla davvero molto di STC! Per lo meno spesso mi ci ritrovo a parlarne (con Daniele stesso) ma anche con altri colleghi e, a dirla tutta, anche da sola, per farmi forza, non perdere la speranza, motivarmi 🙂
se, senza alcuna fantastica scoperta, l’organizzazione ha fatto questo salto di qualità incredibile, basta poco…che ce vò!
Ce vò la voglia di cambiare…sinceramente no, credo ci voglia la volontà di fare le cose giuste, noiose ogni tanto come dice Daniele, al momento giusto con i giusti strumenti…e non è una cosa impossibile: bisognerebbe solo mettere in pratica tutto quello che la teoria ci insegna, partendo dalle basi del fundraising!
…quindi non voli pindarici, ma uno scalino alla volta…questo ha fatto STC, e con ogni scalino ha raggiunto risultati incredibili, ogni anno. per ogni scalino l’ONP ha raccolto una % sempre maggiore…quindi non è un processo lungo, se tanto mi da tanto!
Puntare sulle risorse interne: sicuramente FONDAMENTALE, ma non dimentichiamoci gli studi di settore, le consulenze esterne che se fatte bene aiutano molto, soprattutto in fase di refresh and start again!
insomma…INVESTIMENTO: questa parola tanto temuta da tutti noi: chissà, per paura del giudizio dei donatori o per paura di fare il grande salto?
purtroppo, penso proprio per il secondo motivo…
purtroppo
se fosse per il primo motivo, basterebbe una comunicazione banale, semplice ma sincera e una cultura nei confronti del donatore: vuoi sempre di più? ok…ti offro sempre di più ma per farlo ho bisogno di persone sempre più professionali…e si sa: l’inflazione cresce 🙂
Ioana
Ciao a tutti,
vado brevemente off topic, ma per una buona causa… Antonella, se davvero volessimo lanciare un dibattito in rete sul face tu face, io ne sarei davvero contento, e prometto che sarò tra i primi a commentare il post!
Come diceva Daniele, l’argomento non mi risulta essere ancora stato affrontato sui blog italiani (non con profondità almeno), nonostante sia un strumento che sta davvero crescendo tantissimo, in ONP sia piccole che grandi.
Io ho fatto per brevi periodi il dialogatore, sia “in house” che per un’agenzia esterna, e sarei davvero contento di confrontare la mia esperienza con la tua.
Ad esempio, io sono un po’ più scettico di te sui reali risultati del F2F, e trovo sia uno strumento che in molti casi ALLONTANA donatori, invece che avvicinarli.
Ma, ripeto, apertissimo al dibattito: che spero si farà presto.
Un saluto a tutti e a presto!
Saluti a tutti, e’ da un po’ che non mi faccio vivo…
Rispetto al f2f, per come oggi viene gestito, sono personalmente molto molto contrario. Mi piacerebbe confrontarmi con quello che accennava Alberto. Spero ce ne sia l’occasione.
A proposito, e’ un po’ che non scrivo.. magari fra un paio di giorni ci diamo appuntamento sul mio blog.. vediamo 😉
Ok, assodato che l’argomento f2f riscuote successo ( 🙂 ), e quindi a breve ne scriveremo sul blog, mi piacerebbe avere qualche testimonianza “diretta” o quasi di questo metodo vincente di STC… se per caso qualcuno di Save (so che ci siete 😉 ) avesse voglia di portare una piccola testimonianza sarebbe ovviamente benvenuta/o… tanto per riportare “in topic” il post e vedere se la mia teoria è esatta o meno…
caro Daniele, complimenti perché hai inaugurato un nuovo filone nella blogosfera, quello dell’analisi delle best practice, che mi sembra colmi un vuoto e soprattutto (lo dimostrano i dati di accesso al blog… visto che ho la fortuna di poterli vedere in diretta) confermi quanto sia sentita da molti di noi (e giustamente) la necessità di una formazione che si misuri sul confronto con le buone pratiche e non solo con la teoria.
Di Save abbiamo parlato spesso, andandoci a guardare i bilanci, esaminando le aree di forza e di crescita e lo scatto degli ultimi anni in alcune aree strategiche.
Entrambi conosciamo anche il valore delle persone che ci lavorano, a conferma che prima ancora della notietà della marca è la qualità delle risorse umane a fare la differenza: gente come Daniela Fatarella (che ricordo essere l’artefice della straordinaria crescita di CBM dove, purtroppo solo a posteriori, ho potuto apprezzare il grande lavoro fatto), Filippo Ungaro, Rita Girotti solo per stare a quelli che ho la fortuna di aver conosciuto personalmente, farebbero grandi cose ovunque.
Ma è indubbio che a Save è successo qualcosa di più in questi anni. L’arrivo di Valerio Neri, un manager con provata esperienza nel non profit, con una visione sia politica che di marketing, e con una più che qualificante esperienza nel profit, alla direzione marketing di Atac credo sia riuscito a trasmettere chiarezza di obiettivi, certezza di investimenti, visione strategica e la consapevolezza che dare il massimo paga, sia in termini di risultato di gruppo sia in termini di gratificazioni personali e professionali.
Valerio, che purtroppo ho incrociato per solo pochi secondi, ha chiaro in mente che si lavora per essere leader e per farlo bisogna coltivare la capacità di leadership delle migliori risorse sul mercato. In più ha messo a disposizione del suo staff nuovi strumenti di management, quel lavoro spesso noioso ma fondamentale per creare condivisione di obiettivi e di linguaggio e per non perdere di testa il traguardo neanche nei momenti di maggior pressione (che immagino essere tanti).
La sua leadership ha favorito anche la possibilità di prendersi qualche rischio. Spesso ci siamo detti quanto sia fondamentale un’approccio professionale e strategico all’ufficio stampa. Ma sappiamo anche quanto sia difficile farlo capire alle nostre organizzazioni, anche perché non sempre il ritorno sugli investimenti e immediato o misurabile.
Ma non basta. Save ha lavorato sui contenuti, mettendosi al centro del dibattito su tutti i temi rilevanti per la difesa dei diritti dell’infanzia, dalla questione dei rom al lavoro minorile, dalla differenza di genere alla tratta dei minori. E lo ha fatto diventando una fonte autorevole di informazione e di confronto per i media e per la politica.
La leadrship coltivata a tutti i livelli rende raggiungibili obiettivi che fino a poco tempo fa sembravano irragiungibili per molte organizzazioni non profit italiane. La risposta, la conosciamo, è che l’Italia non è la Gran Bretagna o gli USA. Che qui è tutto diverso. Sarà… ma quello che vedo fare a Save somiglia tanto da vicino a quello che fanno le grandi ong internazionali. Prendete solo un esempio, che ho seguito da vicino su Fundraising Now!: quando hanno deciso di lanciare il catalogo virtuale, la wish list, non hanno fatto uno di quei test all’italiana tanto per dire… hai visto che non funziona? No, hanno lavorato a livello di ufficio stampa, hanno coinvolto i testimonial , hanno acquistato spazi pubblicitari… ecc. ecc.
Se ragioni cosi’ magari qualche volta puoi anche sbagliare, ma almeno hai mano tutti gli elementi per valutare i tuoi errori. Qui in Italia troppo spesso il non profit pensa che sia sufficiente una buona idea per trainare le folle. Da semplicioni come spesso siamo ci dimentichiamo che dietro le cose che funzionano si portano sempre un grande lavoro di pianificazione, di organizzazzione, di analisi e di investimento.
l’impressione è che save si sia mossa proprio in questa direzione
un caro saluto dalla costa d’avorio
[…] consigli da parte dell’organizzazione nonprofit. Ne dice bene giustamente Paolo Ferrara in un suo commento nel blog di Daniele Fusi quando parlando di management del nonprofit ne cita alcuni ingredienti […]
[…] hanno parlato recentemente sul Diario del Fundraiser, Daniele, Jacopo, Antonella, Alberto e Paolo in un bel post di Daniele che racconta un caso di […]
Grazie Paolo per il commento “dal campo”… concordo con la tua analisi su quanto una leadership chiara possa fare la differenza ed apprezzo seriamente il tuo richiamo al “lavoro” che porta risultati e non all’idea unica e geniale che traina il mercato… non sono così convinto invece che il “dream team” avrebbe fatto “grandi cose” in qualunque posto fosse andato e non certo per demerito dei professionisti che lo compongono.
Quante persone di grande valore conosciamo all’interno delle nostre organizzazioni? Personalmente me ne vengono in mente più di una decina… e come mai non riescono a fare “grandi cose”?
A mio parere è proprio perchè se le risorse non vengono messe in condizione di lavorare in maniera precisa, organizzata, stimolante vengono castrate dall’organizzazione stessa… tornando al discorso di “ghiande e quercie” io non sono così convinto che tutti abbiano lo stesso potenziale… perchè nel potenziale deve essere presente anche la volontà di cambiamento (reale non a parole) che la maggior parte delle anp (per quanto meravigliose siano le cause) non ha.
Il caso di STC parte da questa volontà… prima ancora di Valerio Neri, prima del dream team e prima degli strumenti organizzativi adottati… volontà di cambiamento e capacità di mettersi in discussione… e davvero credo che se alla base non è presente questo è inutile qualunque tipo di discorso… quelle organizzazioni non solo non primeggieranno ma saranno relegate sempre più in basso sino alla scomparsa.
Forse è da questo che la riflessione sul caso di Save deve partire, comprendere qual’è stato il motore di quel cambiamento, quale la scintilla che ha fatto partire il tutto e da quella poi valutare gli altri aspetti più “tecnici” che lo hanno supportato… e soprattutto capire se nelle nostre, altre, organizzazioni, quella scintilla è presente e se non lo è… beh forse è meglio cercare altrove 😉
Bel post, bel dibattito, ottimi spunti di riflessione. La prima sensazione, da competitor diretto di Save the Children, è la voglia di “sfida”: sana e leale. Noi di COOPI ce la stiamo mettendo tutta! Così come tutti voi, ne sono certo.
Detto questo alcune osservazioni mi hanno interessato maggiormente: Daniele parli delle risorse umane come elemento indispensabile allo sviluppo. Non posso che sottoscrivere pienamente! Per le nostre “imprese sociali” di servizi le risorse umane sono (quasi) tutto. Vale molto di più pagare “bene” una risorsa competente che provare a risparmiare pagandone poco 2 scarse…Paolo hai parlato di quanto sia importante l’organizzazione interna del lavoro e la capacità (e il coraggio) di rischiare. E poi parli della pianificazione, ossia quella strategia di posizionamento che ha reso STC un “brand”: un marchio conosciuto e riconosciuto come autorevole, capace di raccogliere fondi e fare advocacy. Oggi più di Action Aid ad esempio, a mio modo di vedere. Non c’è che dire: è proprio un benchmark.
Vorrei aggiungere che anche il nome ma sopratutto la missione di STC (che potrebbe essere paragonata all’dea imprenditoriale di un’azienda), sono ulteriori elementi importanti e non affatto trascurabili per il successo dell’organizzazione. I bambini sono (giustamente) una straordinaria “causa”. Altro punto importante credo sia il fatto che non ci siano testimonial “identificabili” con l’associazione in modo diretto (penso ad Arbore per la lega del filo d’oro o a quello che è stato Covatta per Amref, altra interessante case history dal punto di vista dell’awareness).
Insomma: è decisamente marketing oriented e premiata dai target di donatori “sensibili” alle azioni che mettono in campo. Secondo voi hanno ampliato il mercato o hanno eroso quote di donatori ad altre associazioni?
Ioana parli a ragione di investimento: ad occhio hanno investito circa 2 milioni di euro in fundraising nel 2007, circa il 15% dei proventi, nella media delle percentuali delle onp più evolute. Non sono però risucito a trovare l’orgranimma nel sito, voi?
Ah…mi sembra che il fundraising 2.0 non sia stato ancora aggredito da STC…che abbiano ragione loro? ;-))
Ciao e buone sfide a tutti!
Ps: GB…Sun Tzu da pagina 24 a pagina 27 (l’ed. oscar Mondadori che mi hai regalato) può aiutarci nella battaglia!
Come promesso, ho raccolto la proposta dei commenti fatti e ho finito or ora un post con qualche riflessione specificatamente sul face to face.
Vi invito, se non mi tacciate per spam, a questo link:
http://www.jbgazzola.it/blog/
Un bentornato a Francesco con il quale naturalmente e ormai in maniera quasi stanca concordo 😉
A Jacopo dico di non preoccuparsi se tutto lo spam fosse così mirato ad arricchire le discussioni direi che non ci lamenteremmo 😉 anzi visto che ho appena finito di leggere il tuo post mi unisco all’invito e esorto chi non lo avesse ancora fatto di andarlo a vedere… ci sono riflessioni interessanti che meritano una discussione!
[…] Daniele ha scritto un gran bel post di “benchmarking” su Save the children che è stato commentato un bel po’ clicca qui […]
L’altro giorno parlando con un collega mi ha detto riferendosi a Save The Children “Sai perchè sono bravi? Perchè presentano le loro richieste di consulenza pro-bono come se fossero offerte di lavoro”. http://www.savethechildren.it/2003/lavora_home.asp
E’ vero.
[…] anche l’ora in cui ti può chiamare, e questo giustifica quello di cui si è parlato a lungo sul blog di Daniele Fusi &C.) E’ un po’ come quando si inizia a conoscere una persona che magari potrà diventare […]
[…] hanno parlato recentemente sul Diario del Fundraiser, Daniele, Jacopo, Antonella, Alberto e Paolo in un bel post di Daniele che racconta un caso di […]
[…] in cui ti può chiamare, e questo giustifica quello di cui si è parlato a lungo sul blog di Daniele Fusi &C.) E’ un po’ come quando si inizia a conoscere una persona che magari potrà […]