fonte: flickr
Happy 2008 fundraiser!
To begin the new year I decided to tap a fairly controversial issue on which, as always, I ask your opinion.
The fundraising advice: what is it, which services includes , how it is paid. A short simple theme… let’s start from this post inspiration that comes from Jacopo Gazzola’s blog.
Jacopo show an example of advice for a small organization that wants to raise funds and analysed varoious problems (contract, salary, opportunity, etc.) that may arise in the relationship….… with a consultant.
But we have to make step backwards to better understand what an advice on fundraising is.
The question may seem trivial but, in my opinion it’s not. Very often we see different reality that offer “advice” meaning different things.
We have those who give to the word “advice” a very practical sense, for example, on direct mailing, offers a product purely creative (you write the letter to raise funds, we imposed graphics), and those that provide a more “theoretical” one , studing your organization (from the projects to donor database ) and make a business plan aimed at achieving certain goals (increase in the number of donors, donations, etc..).
Between these two points there are a profusion of variations, which certainly pass by whom, in addition to the preliminary study, provides asset management and those who provide only this service excluding the preliminary study and the creativity.
Who among them is really a consultant?
I don’t think there is a correct answer. The reality is so varied in a young market such as Italian one that it is difficult to build borders within determine what is and what is not advice.
More over an advice request from small organizations include services totally different than those required by a larger reality and probably the partners (suppliers) will be different (for a small organization also free-lance consultant may be enough, hardly will be so for bigger organizations).
But don’t give up! Basically it’s always meeting the expectations of the customer and so everyone that can answer requests of “advice”, can be defined consultant (be carefull, only if he has customer!).
Now let’s see how we should pay an advice… the formulas propose are endless, the main difference lies in those who choose the fixed fee regardless the outcome and who instead binds a part, more or less large, of their compensation to the outcome of collection.
I do not believe that among these formulas there is a more virtuous and less virtuous one… I met great professionals who work to achieve other objectives and establishing a fixed as compensation (usually linked to the planned hours of work)… On the other hand, I’m a lover of challenges and I really appreciate those who have the courage to risk with the organisation but then again I do not think there is a right and a wrong way to demand compensation.
The discussion would help to clarify dubt among this theme … but as always I leave it to your wishes and the interest that the post has aroused in you the possible opening of the discussion.
Ciao!
Argomento interessante…io parto dal presupposto che l’ultimo atto del fundraising sia il dono. Prima c’è tanto lavoro, tanta programmazione, analisi…sfide,idee, innovazione, tecnologia ed etica.
Parto sempre dall’analisi a 360° e comincio a lavorare dall’incipit dell’associazione. A mio parere non è possibile mettere un bel vaso di fiori sul balcone di un palazzo che sta per crollare…Bisogna partire dalle fondamenta per arrivare, alla fine del percorso, al balcone. Mi spiego meglio. Se l’associazione ha un pessimo sito internet, una comunicazione interna ed esterna piena di falle, non ha volontari, ha uno statuto copiato male e magari nemmeno un banale regolamento interno…come vuole fare fundraising in modo decente?? e allora parto da zero per rendere la struttura stabile e autonoma. Mi considero un piccolo artigiano e quindi mi piace fare un lavoro accurato. Non guardo tanto al tempo ma alla mission e al risultato. Rispetto al compenso, francamente credo di chiedere non tanto. Non vado a percentuale ma chiedo un fisso per 12 mesi di lavoro e non ci sono sabato o domenica…Lo faccio perché mi piace, perché mi sento utile e perché non vorrei fare altro (se si esclude cucinare, dormire dalle 15.00 alle 15.30…e mangiare dolci)
Raffaele PICILLI
Ciao Raffaele,
grazie mille per il commento che credo possa facilitare molto la comprensione di quello che nel post volevo dire.
Il tuo esempio è perfetto (almeno dal mio punto di vista) per mostrare il lavoro effettivo di un consulente.
L’analisi, lo “sposare” la causa dell’organizzazione, il puntare sempre ai risultati nella stesura di un piano credono siano ottimi presupposti al fine di una consulenza efficace… ovviamente il tutto “condito” da tanto lavoro.
Naturalmente molto dipende dalle richieste dei clienti se, come spesso capita, ci si trova di fronte ad organizzazioni che richiedono una consulenza generale sulle proprie attività penso che un approccio simile a quello che tu proponi sia indispensabile… viene da se che se invece il “richiedente” ha già una casa bella solida sì può lavorare altrettanto bene e soprattutto con altrettanta cura nella sistemazione del vaso di fiori sul balcone 😉
A presto!
Personalmente mi diverto di più a lavorare con chi parte da zero, con le realtà piccole o medie. Mi sembra più stimolante il lavoro, si cresce insieme e davvero si tocca con mano la mission…i sostenitori non sono numeri di un lungo elenco ma persone da incontrare, da conoscere…o certe volte da allontanare…
Non è un lavoro facile, non si faranno i soldi o almeno io non sono bravo a farli (e nemmeno me ne frega) ma è un lavoro necessario per alimentare la voglia di fare bene il bene.
Buon lavoro!
Caro Daniele,
mi sa che ti sei infilato in un tema un po’ complesso, dove non esiste una sola risposta; cercherò tuttavia di contribuire anch’io.
In generale io credo che ci sia spazio e ci sia bisogno di tutti i tipi di consulenza, dal supporto per una creatività fino ad un’impostazione strategica che coinvolga tutti gli aspetti della onp. Credo anche però che, come avviene nel profit, sia molto più difficile far comprendere le ragioni di una consulenza strategica rispetto ad una operativa e ciò deriva dal fatto che nel primo caso il risultato può essere più difficile da valutare e da “toccare con mano”.
Come dici tu, il mercato nonprofit forse è ancora poco maturo. Credo che un modo per superare l’ostacolo diffidenza potrebbe essere quello di legare (parzialmente) la remunerazione della consulenza ai risultati raggiunti ed al livello di soddisfazione del cliente. Attenzione però, in questo caso i rischi di trovarsi in disaccordo a fine progetto sulla valutazione del variabile sono molto elevati e perciò bisogna prestare molta attenzione in fase di definizione del contratto. Alla base di tutto comunque credo che trasparenza ed onestà nella “vendita” del progetto da parte del consulente, siano ottimi antidoti al sorgere di complicazioni.
Concludo con una considerazione: credo che la professionalità e l’etica nel lavoro siano la base per la sostenibilità di un’attività di consulenza nel tempo; se poi si ha a che fare con una onp credo che, oltre che un fattore competitivo, diventino un obbligo morale imprescindibile.
Buon lavoro!
Fabio
Concordo con Fabio. Ma quanti colleghi si ricordano dell’etica, della professionalità, del rispetto per il donatore…?
Ciao Fabio,
ammetto che avere un tuo commento è sempre un piacere 😉 detto ciò mi è difficile non concordare con te, la consulenza strategica è sempre a rischio di incomprensioni fra consulente (o società di consulenza) e cliente trattando tematiche su cui in molti pensano di poter dire la loro (quante volte capita di sentirsi dire: sì, va beh ma questo lo sapevo anche io!).
La “soluzione” della condivisione del rischio tutela un minimo da questi problemi ma certamente, come anche tu sottolinei, gli indicatori di performance devono essere ben chiari alle parti altrimenti va a finire che ci si “scanna” a fine lavoro rendendo vano il tentativo, più che apprezzabile, di non affidarsi in toto ad un fee fisso.
Per quanto riguarda etica e professionalità sono sempre convinto che il mercato possa fare la differenza anche su questo punto.
Chi non applica questi due criteri viene tagliato fuori (o almeno dovrebbe) grazie alla condivisione delle informazioni fra onp (auspicabile ma al momento non così forte) e, magari in piccolo, grazie all’attività di divulgazione del web.
Lo so sono troppo liberale e, in un Paese come il nostro, significa rasentare l’utopia, ma per me il mercato è davvero un valore (inteso anche come tutela dei soggetti che vi operano) e non riesco a rinunciare a questa convinzione 🙂 A presto e grazie ancora!
Daniele scrive: “Per quanto riguarda etica e professionalità sono sempre convinto che il mercato possa fare la differenza anche su questo punto.
Chi non applica questi due criteri viene tagliato fuori (o almeno dovrebbe) grazie alla condivisione delle informazioni fra onp “…
A me spaventa molto “o almeno dovrebbe”…perchè non è prorpio così…. o almeno capita raramente.
Saluti a tutti.
Ciao Daniele,
ho letto con piacere l’articolo e tutti i commenti. Effettivamente il tema è complesso e può essere visto da diverse prospettive. Sicuramente concordo con te e Fabio sul fatto che il mercato del nonprofit in Italia sia molto giovane, ancora troppo: questo significa, purtroppo spesso, incapacità di vedere il vero valore del consulente o, peggio ancora, volersi affidare ad un consulente (o agenzia) senza sapere davvero che cosa questo significhi. giusto perchè ho bisogno di raccogliere i fondi e il consulente, giustamente, si descrive come capace di identificare la strategia migliore per raccogliere fondi in modo efficace, allora chiamo il consulente e chiedo un appuntamento, quasi convinto, molte volte mi è successo, che la consulenza debba essere praticamente gratuita (e non esagero). il concetto brutalmente suona così: finchè non raccogliamo, sostanzialmente, non paghiamo. Consulenza per me vuol dire investimento (non solo economico, ma anche di tempo, di risorse anche e soprattutto interne all’organizzazione- anche questo è etico – altrimenti come è possibile passare know how se l’associazione non collabora nel lavoro? è facile dire passare know how, ma se poi l’organizzazione non collabora il consulente è poco etico perchè sta legando a se l’associazione e l’associazione, mi spiace, dimostra di non essere molto furba, e anche con poca voglia di crescere). ecco, il titolo è azzeccato: cosa mi aspetto da un consulente?. per la maggior parte delle onp è raccogliere fondi: d’accordo, è ovvio questo. il problema è che molte onp cercano consulenti perchè vogliono raccoglere fondi…a partire da ieri.
Perfetto l’esempio di Raffaele, del vaso: anche per grosse associazioni, che magari chiedono ad un consulente di impostargli solo una campagna (per esempio i lasciti o campagne rivolte a big donors). anche in questo caso la campagna deve essere costruita intorno all’associazione, cucita addosso. e per farlo è necessario studiare la realtà, capirne il funzionamento, i punti di forza e di debolezza e indicare la migliore strategia. e tutto questo richiede del tempo. e il tempo è denaro. La raccolta di fondi quindi non è e non può essere quasi mai immediata (salvo consulenza per la realizzazione di mailing), ma prima di vedere i risultati è necessario impostare una strategia, di qualunque grandezza sia l’associazione (e ti assicuro Raffaele che è bello sì vedere crescere una piccola organizzazione, ma è anche bello sviluppare campagne specifiche con grandi associazioni, che ti seguono, tendenzialmente collaborano e, poi, la collaborazione da risultati positivi).
Per quanto riguarda il compenso, la parte di consulenza per me deve comunque essere quotata sulla base del tempo necessario, ipotizzato dal consulente, per realizzare la strategia. quindi fee fisso. per la realizzazione di attività di raccolta fondi, ritengo invece etico e professionale condividere, anche solo un minimo, il rischio.
termino qui, vorrei evitare di dilungarmi troppo
grazie per essere arrivati sin qui con la lettura
Ioana
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